OpenAI portata in giudizio: ChatGPT accusato di rubare contenuti

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ChatGPT accusato di rubare contenuti: questa la pesante accusa lanciata ad OpenAI, la compagnia di Sam Altman responsabile del chatbot ChatGPT e del motore di generazione immagini DALL-E2.

L’accusa, arrivata in un Tribunale della California sotto forma di class action è sempre la stessa che abbiamo visto: entrambi gli strumenti di intelligenza artificiale, in questo caso ChatGPT, sono nutriti da decenni di dati disponibili su Internet di ogni settore, dai post social pubblici a Wikipedia passando per blog e testi sugli interessi più oscuri.

Secondo chi propone l’azione, tanta onniscienza si baserebbe sul sistematico plagio del contenuto altrui.

OpenAI portata in giudizio: ChatGPT accusato di rubare contenuti

Non è la prima volta che vediamo quest’accusa. Proprio in questi giorni abbiamo assistito all’ultimo “TwitterDown”, crollo catastrofico dei servizi offerti da Twitter, legato direttamente ad un tentativo malriuscito di Elon Musk di “accecare” le AI impedendo loro di sbirciare tra i post Twitter.

Già ad aprile il magnate infatti prevedeva e vaticinava azioni legali contro i maggiori attori del settore, da Microsoft ad OpenAI, accusandoli di aver nutrito le loro creazioni con le conoscenze degli utenti e col contenuto del suo social, lasciandole altresì libere di pilotare bot e altri strumenti di interazione, manipolazione e controllo.

A novembre del 2022 DeviartART, importante community di artisti e portale per la condivisione di creazioni di arte letteraria e figurativa di vario tipo, ha dovuto introdurre delle opzioni per limitare lo “scraping”, ovvero l’uso dei suoi archivi da parte di AI generative come DALL-E2 e Midjourney, allo scopo di evitare una diaspora di creativi.

Creativi che hanno comunque mal vissuto l’esistenza di strumenti che, spesso in modo mediocre (provate a chiedere ad un sistema di generazione immagini a mezzo AI di crearvi mani o occhi convincenti. Provateci) creano immagini “nello stile di…” basate su referenze estrapolate dallo stesso universo artistico del creatore originario, generando nel pubblico l’illusione di poter “Rubare il talento dei creativi” e “portarlo alle masse”.

Cosa che per i creatori dei testi originali sì, diventa un furto, e secondo lo studio legale dietro l’azione, lo è anche nel caso di ChatGPT, dove la materia del contendere non sono più foto, illustrazioni e disegni ma “300 miliardi di parole in Rete, compresi libri, articoli e post social” nonché informazioni personali.

Cosa comporterà questo? Qualche riflessione a caldo

Legalmente è una bella domanda. Secondo l’avvocato Katherine Gardner non va dimenticato che i contenuti postati su un social sono di fatto offerti su licenza alla piattaforma (cosa che ad esempio, rende i vari messaggi “Io non autorizzo” ridicoli e grotteschi)

Ma in questo caso come abbiamo visto sono stati gli stessi gestori dei social a muoversi, e parallelamente all’azione legale proposta in California: mentre Forbes ne dava l’annuncio, Elon Musk twittava ai suoi iscritti di aver intrapreso lo scontro contro le AI (coi risultati però che abbiamo visto).

Ma secondo lo studio legale che ha proposto l’azione nessuna licenza prevede che tali contenuti finiscano nella rete di OpenAI.

OpenAI che come abbiamo visto solo recentemente ha introdotto una funzione di “opt-out” per consentire ai suoi utenti di non lasciare le loro interazioni in pasto al suo modello di apprendimento e solo dopo che il Garante Italiano ha richiesto un provvedimento di limitazione dei dati.

Peraltro dopo quasi un mese di tentennamenti e “fanboy” pronti a giurare che tale funzione non poteva esistere, che sicuramente il Garante si sbagliava, che per colpa della Privacy avrebbero tolto per sempre ChatGPT al popolo e che avremmo dovuto anzi abolire per sempre la Privacy per vivere nel futuro delle macchine benevole.

Asserzione, come si è visto del tutto mendace. Cui aggiungere il problema della confabulazione.

Come abbiamo visto, al momento ChatGPT è un Moloch, un Titano enorme che divora grandi quantità di dati e li risputa in forma semplice da usare, ma a volte tragicomicamente errata

Proprio un collega dei legali che hanno istruito la causa si è messo nei guai per aver “chiesto a ChatGPT”, in quanto gli avevano detto che è “Il futuro della ricerca” di produrgli precedenti legali da usare per vincere una causa (peraltro improponibile per prescrizione dei termini…). Ottenendo in cambio precedenti del tutto inventati attribuiti a giudici realmente esistenti e citando numeri inesistenti di pandette esistenti.

Sempre ChatGPT, su richiesta, ha dichiarato esistenti nel suo database un articolo che accusava un sindaco Australiano di avere precedenti penali per corruzione e un professore di diritto di essere un predatore sessuale descritto in un immaginario articolo di giornale come noto per aver molestato una studentessa.

Il problema esiste: inutile dirlo. Contenuti online nutrono ChatGPT e vengono risputati da esso spesso in forme alterate e deformi, con gravi danni che si ripercuotono su persone vere.

Non sappiamo se il diritto sia la soluzione, ma almeno qualcuno ne parla e, speriamo, per risolverlo.

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