Scoppia sui social e nell’opinione pubblica il caso “We are social”, agenzia pubblicitaria alle prese con due dei problemi della società Italiana, uno antico come la società stessa ed uno moderno. Il machismo più nonnista possibile e le chat di gruppo che spesso diventano gruppi carbonari fuori da ogni controllo e dove si consumano eventi inverosimili sotto lo scudo di una falsa impunità.
Impunità che alla fine è finita, scoperchiando il proverbiale Vaso di Pandora.
La chat di “We are social”: il #metoo all’italiana, il caso
Come nel #metoo, una storia sotterranea di abusi e prevaricazione arriva allo scoperto dopo anni: arriva ai social la testimonianza dapprima anonima, poi corroborata da una valanga di testimonianze di conferma e l’intervista ad un ex dipendente, dell’esistenza di una “chat degli ottanta”.
Dove per ottanta si intendono ottanta uomini intenti ad un improbabile campionato/classifica delle dipendenti donne-
Ottanta potremmo dire è anche l’era morale in cui le testimonianze pongono questa chat, i cui contenuti farebbero arrossire il più scafato lettore di Playcolt, Zora la Vampira e altri fumetti erotico-boccacceschi degli anni ’70 e ’80.
In un periodo compreso tra il 2016 e il 2017, ma non sono escluse propaggini, una chat dei dipendenti era evoluta o involuta in uno sfogo machista. Le testimonianze descrivono il sistematico dossieraggio di ogni nuova assunta, il cui ingresso veniva preceduto da un caccia di scatti social in bikini e una serie di votazioni.
Intere statistiche di donne in base alla presunta “scopabilità” o alle fantasie sessuali scatenate nel “gruppo degli ottanta”, con voti commentati ben poco eleganti come “le metterei un sacchetto in testa e la scoperei con violenza”.
Ma non solo. Una testimonianza attira le altre, e chi non aveva avuto il coraggio di parlare ora può rendere note storie. Storie di stagiste ancora ventenni approcciate da uomini col doppio dei loro anni che propongono loro sesso in cambio di prospettive di carriera, storie di altre ditte in cui alle professioniste veniva caldamente “consigliato”, sotto pena di licenziamento, di accettare le offerte amorose dei committenti per mantenerli motivati.
Come nel #metoo, una volta aperto il vaso delle testimonianze, chiuderlo è impossibile.
La risposta di “We are Social”
“We Are Social, prendendo atto di quanto emerso e raccontato fino ad ora, afferma che, sulla base dei nuovi elementi emersi, ha deciso di avviare un’indagine interna che verrà affidata a una realtà terza”. La società, aggiunge, “ha deciso di intraprendere tutte le iniziative volte a rendere l’agenzia un luogo di lavoro sicuro e inclusivo”.
Altresì We Are Social si autosospende dall’associazione delle Aziende del settore comunicazione, aspettando quei riscontri.
Un ottimo punto di partenza, ma ora non possiamo che restare in attesa.