Holodomor: tragedia, stupidità o entrambe?

L’Holodomor è una tragedia che presenta entrambi gli elementi: un feroce colonialismo che rasenta la crudeltà genocida e dosi industriali di stolidità umana da complottista marcio.

Quello che otterremmo, come nella Russia di Stalin, avendo un ipotetico Governo che accetti come esperti e periti in materia i complottisti più attivi, che consideri periti in materia gente che compra i Green Pass da Internet, che si filma il sedere mentre defeca anche l’anima dopo essersi preparati bibitoni purganti e con teorie sull’agricoltura basate sul “noncielodikeno”.

Sommare cognizioni tecniche e scientifiche tali da suscitare la derisione anche di un ragazzino fresco di scuola primaria col sussidiario in tasca, fu la ricetta per il disastro.

Sommiamo una collettivizzazione forzata, l’immagine del contadino ucraino come un “privilegiato nemico del popolo” da sottomettere e “espertoni” convinti che la segale poteva essere trasformata in grano e il grano in orzo, che le erbacce potevano essere tramutate in grano commestibile e che il grano poteva essere “rieducato in Siberia” per imparare ad essere gagliardo e vigoroso contro gli effetti climatici avversi, e capirete come si è arrivati ad uno dei più grandi genocidi della storia moderna.

Holodomor: tragedia, stupidità o entrambe?

Siamo negli anni ’20 in Russia, in pieno dominio di Joseph Stalin. Parliamo di una persona che era riuscita a vietare la musica e introdurre una serie di riforme sociali. Stalin aveva inoltre delle idee quantomeno bizzarre su chi fosse un “privilegiato” o meno nella società che voleva costruire.

Stabilì ad esempio che i rurali dell’Ucraina, che ancora oggi è uno dei granai del mondo (con quello che comporta per le nazioni emergenti dopo che Putin ha messo a rischio la scorta di grano mondiale) erano ovviamente dei privilegiati, anzi, peggio, dei “kulaki”, una classe economica privilegiata che, esattamente come abbiamo visto per i giovani colpevoli di possedere dischi musicali, erano dei parassiti che rifiutavano di dare la loro ricchezza al proletariato.

Problema: per essere un “kulako”, ovvero un “ricco proprietario terriero capitalista” bastava veramente molto, molto poco. Secondo Nicolas Werth “l’utilizzo di un operaio agricolo per una parte dell’anno, il possesso di macchine agricole un po’ più perfezionate del semplice aratro, di due cavalli e quattro mucche” era più che sufficiente per il “salto di categoria” da proletario a nemico del proletariato.

Partiamo quindi da una visione del rurale degna della servitù della gleba, una politica agricola che nasce come un meme di “Feudalesimo e Libertà” riletto in salsa Nazional-Marxista con Stalin nel ruolo de “Lo Imperatore”.

La soluzione era privare i contadini “ricchi” di ogni loro avere e possedimento, collettivizzando forzosamente l’intero comparto agricolo in fattorie collettive, procedendo all’esecuizione in massa o alla deportazione in Siberia dei contadini ribelli, accusati di essere i pericolosi “kulaki”.

Per eliminare i kulaki come classe non è sufficiente la politica di limitazione e di eliminazione di singoli gruppi di kulaki […] è necessario spezzare con una lotta aperta la resistenza di questa classe e privarla delle fonti economiche della sua esistenza e del suo sviluppo“.

Dichiarò Stalin aprendo la via ad una soluzione ai problemi economici della nazione equivalente allo spararsi ripetutamente nei genitali come efficace mezzo di controllo delle nascite.

Dalla collettivizzazione forzata alla carestia voluta

Partiamo da un punto di vista condivisibile: non ottieni un aumento della produttività dicendo a persone che già non arrivano a fine mese che sono dei privilegiati che devono dare tutto quello che hanno alla Madre Russia per diventare di fatto nuovi servi della gleba minacciandoli di esproprio forzato, deportazione e morte.

La collettivizzazione forzata fu accolta con proteste, a cui seguì una forte repressione, a cui seguirono proteste falcidiando la popolazione agricola.

La soluzione fu ancora la repressione degli abitanti delle campagne, accusati di essere avanguardie del nazionalismo e quel genere di collettivizzazione che tracimò facilmente nella russificazione forzata.

Nonostante fosse evidente che la collettivizzazione, che peraltro univa il peggio del latifondo al peggio dello statalismo (con terreni sfruttati oltre l’inverosimile, rotazioni e maggese saltati, uniti al fatto che il contadino/kolchoziano non aveva letteralmente niente per cui andare avanti o progettare un futuro se non un vago patriottismo per una nazione che di fatto lo opprimeva), non stava arrecando alcun beneficio alla produzione anzi, Stalin decise di richiedere quote di produzione sempre più alte.

Negli anni ’30, con la produzione agricola al tracollo, a livello “centrale” si stabilì ad esempio che un’eccellentissima soluzione era cercare i “sabotatori Ucraini”, vietare l’uso del linguaggio Ucraino nelle comunciazioni ufficiali e introdurre forme di “blacklist” per i paesi che non rispettavano le quote previste.

Forme che prevedevano sostanzialmente l’isolamento economico del villaggio, una lista di contadini accusati di aver “trattenuto la produzione” spesso inesistente e il divieto di lasciare il villaggio o commerciare al di fuori di una Ucraina sempre più impoverita, nonché l’obbligo di fornire maggiori quote di coltivato.

Tutto questo divenne un circolo vizioso di povertà e fame, che si spinse alla criminalizzazione della spigolatura.

Documenti storici ci presentano immagini di spigolatori accusati pubblicamente di aver “rubato merce collettiva del proletariato” e massacrati di botte per aver raccolto granaglie cadute o pescato “di frodo” rane e pesci dai fiumi.

Nel frattempo, il Lysenkoismo

Tutto è peggio col complottismo, e uno dei principali consiglieri scientifici e agricoli del buon Stalin era a tutto gli effetti uno che oggi additeremmo come un complottista: Trofim Denisovič Lysenko.

Lysenko ad esempio non credeva nell’importanza dei Cromosomi, e credeva in una forma di Lamarckismo estremo per cui le specie mutavano a seconda dell’esposizione per l’ambiente.

Cosa assurda per chiunque sappia come è fatto l’apparato radicale di una pianta era convinto che le piante potessero anzi dovessero essere piantate il più vicine possibile in quanto esse capiscono il Comunismo e sanno che piante della stessa classe sociale non si fanno mai la concorrenza tra loro ma si rinforzano a vicenda.

Lysenko aveva inoltre idee stravaganti sulla “vernalizzazione”, teoria praticata in passato da generazioni di contadini e deprecata che consisteva nel tenere le semenze in neve e ghiaccio per indurre uno stato di dormienza: nel magico mondo del lysenokismo la vernalizzazione suscitava il lamarkismo e piantando sementi nel gelo e nella neve esse si sarebbero “abiutate” al freddo diventando supersemenze.

Il Lysenkoismo, unitamente alla persecuzione ed alla repressione degli ucraini, fu tra le cause dell’Holodomor. Nonché di diverse carestie nel mondo comunista e sovietico come la Grande Carestia cinese sotto Mao Zedong.

Ovviamente, già all’epoca la scienza “ufficiale” provvide a dichiarare il lysenkoismo una teoria del complotto antiscientifica, con biologi britannici pronti a giurare che Lysenko fosse “completamente ignorante dei principi elementari della genetica e della fisiologia”.

Il buon Lysenko, con fare da “mamma pancina su Facebook” dichiarò che la scienza ufficiale non conosceva l’amore (citazione letterale “amanti delle mosche e odiatori delle persone”) e composta da “strumenti degli oppressori imperialisti”, convincendo Stalin, che era un gran fan delle sue teorie, a licenziare, estromettere, uccidere e/o affamare e ridurre in miseria tutti gli scienziati, genetisti, botanici e fitologi contrari alle sue teorie e favorevoli alle teorie “imperialiste e capitaliste”, ovvero le più elementari leggi della biologia.

Il Lysenkoismo divenne sostanzialmente una “cartina di tornasole” per capire quanto Stalinista fosse uno scienziato: l’unico motivo logico per cui qualcuno potesse credervi era perché credeva nel Comunismo Bolscevico più che motivi scientifici seri.

Il risultato finale

Sei milioni di persone morirono per fame, causata da aperta persecuzione e sciocca stolidità combinate assieme in un golem di brutalità e rapace colonialismo aggressivo.

Nel 1933 il governo sovietico esportò 18 milioni di quintali di grano e di altri prodotti, continuando a negare ufficialmente la carestia. Solo il 15 marzo 1933 le requisizioni di grano furono sospese e in aprile nei villaggi venne distribuito grano dai depositi dell’esercito. I contadini sfiniti dovettero essere aiutati nelle operazioni di semina del raccolto che, finalmente, avrebbe posto fine all’incubo.

Per decenni l’Holodomor fu negato: recentemente in Italia la mozione sul riconoscimento dell’Holodomor come genocidio è stata approvata con 130 voti favorevoli e 4 astenuti, nonostante lamentele da fonti russe.

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