L’assurda campagna social contro sorella e nonna di Giulia Cecchettin raggiunge profili assurdi. Quando ci viene chiesto un fact checking su post e commenti che criticano il fatto che la nonna e la sorella di Giulia Cecchettin, uccisa brutalmente nelle modalità che purtroppo tutti conosciamo abbiano osato compare in pubblico in modo difforme dalla loro immagine di lutto, francamente ci viene voglia di chiudere questo servizio e mandarvi tutti a quel paese.
In un mondo ideale infatti voi non avreste alcun diritto di farci questo tipo di segnalazioni e non avreste alcun diritto di dolervi se, giustamente, venite mandati via.
Perché non esiste niente di più personale del dolore.
L’assurda campagna social contro sorella e nonna di Giulia Cecchettin: smettete di insegnare agli altri come soffrire
Immaginate di avere un dolore immenso. Eppure dovete continuare ad andare avanti nelle vostre vite.
Qualcuno comincia ad accusarvi di mentire, di dire che non state soffrendo. Perché in base alle sue teorie sul dolore per dimostrare di essere sofferenti dovreste essere dei rottami umani vestiti di cenci in un lutto esagerato, con gli occhi gonfi dal pianto e incapaci anche solo di provvedere a nutrirvi senza la carità del prossimo pronto a portarvi “la guantiera di cibo”.
Immaginiamo la prendereste molto male (eufemismo). Immaginiamo che questa folla di persone pronte ad insegnare al prossimo come si soffre dall’alto del loro “troppo tempo sui social” facciano parte della stessa tipologia umana di quelli che, davanti ad un profugo, sentenziano lieti che “ha troppi muscoli” e quindi non si confà alla sua immagine del profugo come un derelitto mendico con un piede nella fossa, malatissimo, meglio se mutilato, raccolto tra i rantoli di dolore.
Non esiste categoria umana che merita più biasimo e pubblico sdegno e correzione di chi giudica da una foto se sei degno della sofferenza che porti con te o meno.
Quasi ci secca far notare che l’evento con cui la signora Carla Gatto aveva presentato il suo libro era già preparato da tempo, e il barbaro assassinio (perché di questo si tratta, non giriamoci intorno. Non chiamiamolo tragedia, dolore o fatalità: è un barbaro assassinio) ha aggiunto dolore e la necessità per la nonna di spendersi contro la violenza sulle donne.
Ci secca perché sarebbe irrilevante: non è certo vestendosi di stracci e flagellandosi con un cilicio per la gioia dei fan della “TV del dolore” che avrebbe riportato la nipote in vita.
Come ci secca ricordare quanto avete flagellato Elena Cecchettin con accuse di ogni genere partendo da una maglietta da “skater” fino ad adombrare i complotti più bizzarri.
Ci secca invece rispondervi: seriamente, questo non è fact checking, sarebbe collaborare alla TV del dolore.
Quindi, fatela finita.