La Russia mette al bando la comunità LGBTQ, e lo fa in modo definitivo, inserendo il “Movimento LGBT” tra le associazioni estremiste.
Come abbiamo visto, la Russia ultimamente porta il concetto di “Neolingua” descritto da Orwell come appannaggio della dittatura “Anglosocialista” del romanzo 1984 a vette di riscrittura della realtà insperate. Non puoi parlare di guerra ma di “Operazione Speciale”, sotto minaccia di sanzioni, clacca occidentale pronta a minacciare sanzioni inesistenti e clacca Russa pronta a delarti ovunque tu sia.
E pare adesso tu non possa neppure parlare di “comunità LGBTQ”: la Corte suprema russa, a porte chiuse ma con un certa asfittica pompa tipica delle burocrazie postSovietiche ha cancellato con un tratto di penna decenni di sviluppo.
Ora l’immaginario “Movimento LGBT” è una “Organizzazione estremista e messa al bando in Russia”: tradotto in parole povere ogni attivista LGBTQ diventa un terrorista ed è possibile perseguirlo.
La Russia mette al bando la comunità LGBTQ (per loro “movimento”)
Non è un paragone ozioso o allarmistico: all’indomani della riscrittura della storia e della grammatica, quattro club LGBT sono stati interessati da “visite” delle Forze di Sicurezza, coi visitatori costretti a spogliarsi e i loro documenti copiati per identificazione.
La mente torna allo Stalinismo più feroce, quando la Propaganda Russa sguinzagliava i giovani Pionieri del KOMSOMOL per le strade a caccia dei loro coetanei per “stanare” merci perverse e proibite come dischi di musica Occidentali, lodati da improbabili documentari di propaganda che inneggiavano alla repressione con accenti assurdi come
“Questo è ciò che diciamo a coloro che vivono la loro vita nei vicoli e nei corridoi bui. Chiunque essi siano, questi oscuri venditori di vestiti stranieri o adoratori del rock and roll, questi fannulloni cresciuti che non vogliono lavorare, noi li marchieremo col marchio dell’infamia! Noi sappiamo bene come condannare ed emettere giudizi. Non vogliamo che le loro sudice ombre macchino i nostri marciapiedi”
“Noi sappiamo bene come condannare ed emettere giudizi”. E in Russia lo sanno da decenni. E la comunità LGBTQ dovrebbe saperlo più di molti.
Il rapporto della Russia con la comunità LGBTQ
La Russia, ancora prima di questa svolta, era un paese profondamente omofobo. E parliamo di quel genere di omofobia sia istituzionalizzata che pubblicizzata: già dal 2013 nel panorama normativo Russo è severamente vietato diffondere “Materiale di propaganda”.
Termine volutamente ampio che prevede vietare qualsiasi media che raffiguri una relazione omosessuale o non eteronormativa come equivalente ad una etero.
Cosa che si estende a ogni singolo media: suscitò il ribrezzo misto a grottesco riso la notizia della scoperta di una “cellula terrorista Ucraina a Mariupol” nella cui base, evidentemente “inscenata” dagli stessi Russi i presunti terroristi custodivano assieme a foto intonse di Hitler videogiochi con tematiche LGBTQ, boa di struzzo e parrucche da Drag Queen, popolarizzando ulteriormente l’idea nella popolazione di un complotto di terroristi nazigay pronti a diffondere l’omosessualità tra i giovani Russi per infiacchirli.
In quella stessa Russia dove tra i programmi in voga abbiamo il reality “I’m gay”, dove si chiede al telespettatore di identificare, stanare e scacciare da una casa tipo “Grande Fratello” l’unico omosessuale nascosto tra maschioni post-Sovietici e altri campioni di virilità.
E dove il Ministero della Salute reinterpreta la psicologia e la psichiatria a suo modo chiedendo di “curare l’omosessualità” e dove vengono proposte riforme per limitare e rendere impossibile il cambio di sesso dichiarando alla Duma che tale procedura priverebbe la Patria di Soldati da mandare in Ucraina.
Si parla comunque di termini volutamente ampi: se vieti la “propaganda” di fatto puoi vietare l’omosessualità stessa, o meglio ogni sua raffigurazione anche mediatica.
E se parli di “movimento LGBT”, di fatto puoi vietare l’attivismo stesso, mettendo al bando interi orientamenti sessuali.