Ci segnalano i nostri contatti una condivisione per cui Nature avrebbe dichiarato un “mea culpa della scienza” sulla riproducibilità degli esperimenti.
Deducendo che se esiste un testo su Nature che assume che il 70% degli scienziati (del campione citato) è incappato nella sua vita nell’impossibilità di ripetere correttamente l’esperimento di un collega, allora lo stesso sistema scientifico è in crisi.
Non è esattamente così: il metodo scientifico regge e non è arbitrario.
Effettivamente il testo citato esiste, ed è del 2016, basato su un campione di 1500 ricercatori (1576 per essere precisi). Un numero certamente consistente, ma un atomo, una goccia, un numero assai ristretto sulla comunità scientifica totale.
Cosa che, secondo il metodo scientifico stesso, dà allo stesso un valore limitato.
Un po’ di termini
La riproducibilità sappiamo dai nostri studi è una parte importante della formulazione di una ipotesi: osservo un fenomeno in una determinata materia e lascio che altri riproducano il mio metodo e vedano quello che io ho visto.
Se tutto va bene, in un mondo ideale, ripetendo l’azione X si dovrebbe verificare il risultato Y, confermando che tramite l’azione X sull’oggetto Z si perviene al medesimo risultato Y.
La riproducibilità è, sostanzialmente, ottenere gli stessi risultati utilizzando gli stessi dati in ingresso, gli stessi approcci computazionali, metodi, codici e procedure di analisi;.
È distinta dalla replicabilità significa ottenere risultati concordanti fra studi mirati a risolvere lo stesso problema scientifico, ottenuti a partire ciascuno da un set diverso di dati.
Una teoria può anche essere confermata partendo da un punto di partenza diverso: questa diventa replicabilità.
Il metodo scientifico si regge sulla “Revisione tra pari” o Peer Review, un procedimento dove spesso alla pubblicazione dell’articolo su una rivista di “impact factor” riconosciuto, ovvero di buona reputazione, non conseguono la mera riproducibilità o replicabilità, ma spesso aggiunte e correzioni che portano un modello iniziale a diventare sempre più completo.
Nessun mea culpa della scienza, solo una analisi del metodo stesso
Partire quindi da riproducibilità e replicabilità come dogma che, ove non presenti, invalidino il processo scientifico stesso, è un gravissimo errore di metodo.
Nel testo di Nature abbiamo quindi una raccolta di dati di quasi 1500 scienziati che ammettono di non essere riusciti a riprodurre un esperimento altrui. Deducendo però non che la scienza non funziona, ma anzi il 31% di loro attribuisce la mancanza alla scoperta di un risultato erroneo e quindi si fida ancora della Peer Review.
La rivista “Scienza in Rete” inquadra il problema della riproducibilità da un punto di vista diverso, suggerendo che la difficoltà di riprodurre il dato sia parte dello stesso metodo scientifico, e che possa stimolare un clima di cooperazione mondiale e paritario anziché disincentivare la richiesta stessa.
Il ricercatore dovrà essere stimolato quindi riconoscendo le difficoltà che altri potrebbero avere nel riprodurre il suo metodo a darsi la stessa riproducibilità o replicabilità come obiettivo.
Oppure tenere in conto cose come l’accumulo degli errori sperimentali e spiegare al pubblico cose essenziali come la differenza tra teoria e pratica.
Tutti problemi interessanti dal punto di vista scientifico, ma difficilmente liquidabili nella fine della scienza.
Anzi, il passaggio dalla teoria alla pratica è proprio quello che rende la scienza degna di ogni attenzione.